RICORDO DI ERMINIO LONGHINI

Vogliamo ricordare Erminio Longhini con le parole che lui stesso ha dedicato a noi volontari quando sentiva che la fine della sua vita era vicina.
Erminio sarai sempre nei nostri cuori.

Cari volontari,
in questi giorni ho avuto notizia dai miei colleghi curanti che la mia malattia ha imboccato il rettilineo d’arrivo. Devo iniziare una chemioterapia che dovrebbe concedermi ancora un periodo di vita, quanto lungo non è possibile dire. Sia la volontà del Padre che sa quale è il mio vero Bene.
Tempo, quindi, di bilanci personali con tanti pesi negativi, ma anche la gioia di vedere chiaramente i doni ricevuti dal Padre con l’intercessione di Maria Madre: la Fede, la professione più bella, la famiglia, le amicizie, le Scuole di vita (San Vincenzo, Centro San Fedele dei Gesuiti, Gruppi familiari, Movimento dei Focolari) e naturalmente l’AVO e l’AFCV, e ancora, perché no, i cani che aiutano a superare i momenti tristi con il loro incondizionato affetto.
Quando la vita è al tramonto, infatti, non mancano i momenti bui, ma neppure i momenti di luce, di letizia, di consolazione.

Ricordo passo a passo il sorgere di una idea insistente: la malattia deve essere vita, e pur nella sofferenza deve essere occasione di momenti lieti e fruttuosi. Momenti che si possono trovare nella meditazione e nella preghiera non più distratta a causa dei tanti impegni, nella lettura della Parola di Dio e anche nella necessità di amare e di donarsi. Tuttavia, per essere l’ “amore”, bisogna essere in due o più e giungere così alla reciprocità. La reciprocità è essenziale per una vita vera, e da questa convinzione nacque l’AVO. Ricordo come fossi stato preso dalla letizia di costruire qualcosa che potesse portare alla reciprocità, tanto preso nel veder crescere il nostro volontariato e di poter comunicare queste scoperte che venivano dalla gratuità (fonte di letizia), da non rendermi conto di essere stato solamente uno strumento del Padre, guidato da Maria.
Non donavo ma ricevevo in dono.
Ad un certo punto mi sono accorto di aver bisogno di aiuto da Maria Madre e da amici cari, e che era giunto il momento di passare il testimone. Così ho potuto cominciare a osservare dall’esterno il nostro volontariato che mi è apparso veramente bello e socialmente utile sotto molteplici aspetti. Da “emerito” ho potuto vivere anche la letizia di essermi liberato della sensazione di sentirmi necessario per la vita dell’AVO, scoprendo invece che gli “altri”, continuano in ogni caso a camminare su vie che portano a mete sempre nuove, importanti,
originali. Ho compreso che l’intelligenza da sola può non essere niente se non si accompagna al “cuore”, che è materia necessaria ad alimentare la nascita e la crescita dell’amore reciproco. È necessaria la curiosità, non certo intesa come violazione del privato del prossimo, ma come volontà costante di conoscere il nuovo (ciò che ho sempre inteso fare attraverso le attività di ricerca anche in ambito professionale), di esplorare le nuove necessità sociali per riuscire ad adeguare ai tempi il dono prezioso di cui abbiamo avuto Grazia: cambiare la visione esclusivamente negativa della malattia. Come? Essendo vicini alla persona malata con l’intento di dissolverci nella sua volontà.
Non ci si deve preoccupare delle grandi imprese: bastano gesti semplici che possono apparire di scarso rilievo a chi è in buona salute, ma di grande aiuto per il malato che così può percepire la nostra attenzione fraterna, e avvertire la possibilità che gli viene offerta di contribuire alla nascita della reciprocità.
L’amore reciproco può dare frutti imprevedibili, impensabili, al di là di ogni speranza, perché dipendono dallo Spirito Santo promesso nel Vangelo. Di questa certezza ho trovato conforto anche nelle parole che mi furono rivolte da due Arcivescovi di Milano, Giovanni Colombo e Carlo Maria Martini, e dal Santo Papa Giovanni Paolo II.
Questa è l’anima della “ricerca”, che non può venire meno soprattutto nel tempo del cambiamento generazionale; penso ai Giovani dell’AVO che vedo uniti nella ricerca delle vie che conducono all’amore reciproco fra loro e con i malati, facendo valere le capacità di
inventiva e innovazione che i tempi in evoluzione richiedono. AVO Giovani non come AVO nell’AVO, ma futuro dell’AVO nel rispetto dei valori del presente.
Nel cammino della mia vita sono passato dalla sponda del curante a quella dell’assistito: anche questa condizione mi ha aiutato a comprendere in maniera più profonda quanto sia importante la nostra vocazione. Oggi per il campo della gratuità si aprono nuovi spazi che si trovano oltre l’evoluzione tecnologica, le complicazioni della burocrazia e i limiti imposti dalle ristrettezze economiche. La dimissione di un malato non deve significare l’interruzione di un rapporto di reciprocità: se questo rapporto è sorto e la situazione lo richiede, non dobbiamo smettere di fare nostro il bisogno di amore da parte dei poveri e, soprattutto dei poveri più poveri. Nella soddisfazione di quel bisogno è insita la possibilità di offrire la loro sofferenza per la nascita di un mondo migliore.
Spero che questi intimi pensieri di un malato possano essere una occasione di meditazione, di discernimento e ho sentito la necessità di affidarveli.
Grazie a chi avrà pazienza e amore di leggere queste mie righe, scritte con tanto affetto.

Vostro

Erminio Longhini