LE ERE DELL’AVO

 

Parlando di “ERA NUOVA DELL’AVO” (tema della VI Conferenza Presidenti 2013) si sottintende che ci sia stata almeno un’altra ERA, anche se in realtà si può presumere che le ere siano già state almeno cinque, ognuna della durata di circa 8-10 anni.

  1. LA NASCITA
  2. LO SVILUPPO
  3. L’ASSESTAMENTO
  4. LA NUOVA ORGANIZZAZIONE
  5. L’ERA NUOVA DELL’AVO per giungere infine alla
  6. SITUAZIONE ATTUALE

 

1) LA NASCITA

Negli anni che vanno dal ’75 al 83 si assiste alla fondazione delle maggiori AVO ad opera dei Padri fondatori. Quanta passione, quanti incontri, quante serate a discutere su come impostare l’Associazione, su come strutturare i primi corsi base, la ricerca delle sedi, gli Statuti, i primi contatti con le strutture sanitarie, la ricerca dei volontari, le riunioni, gli operatori che ci guardavano con occhio critico e anche con qualche sospetto, i pazienti che ci accoglievano con curiosità ma anche con  animo aperto. All’epoca le organizzazioni di volontariato che operavano in forma organizzata nelle strutture erano veramente poche.

2) LO SVILUPPO

Nel decennio’83-92 si assiste ad un forte incremento della proposta AVO che viene accolta da un numero sempre crescente di sezioni periferiche. Nel frattempo venivano raffinate le riunioni di formazione, gli incontri di reparto, i protocolli procedurali, le convenzioni con le strutture, i contatti con le Istituzioni; le AVO insomma rappresentavano ormai una realtà radicata e riconosciuta.

3) L’ASSESTAMENTO (1993-2001)

Con l’entrata a regime della legge quadro sul volontariato 266/91 si viene a definire il valore del volontariato, il suo ruolo, le agevolazioni fiscali, l’obbligo dell’assicurazione dei volontari ecc. oltre alla creazione dei Centri Servizi del Volontariato e alla definizione delle risorse ad essi assegnate per favorire lo sviluppo dell’attività di tutte le organizzazioni, sia iscritte sia non iscritte agli appositi registri regionali. Da quel momento si assiste ad una crescita esponenziale di associazioni – in genere con pochi aderenti – che ne ha portato il numero complessivo da poche migliaia a decine e decine di migliaia, senza tuttavia che il numero totale dei volontari crescesse in maniera significativa. Tutto questo fermento non poteva non avere ripercussioni anche nella nostra organizzazione. Da poche associazioni operanti negli ospedali prima della legge quadro si è assistito ad un’esplosione di nuove presenze, per lo più settoriali, nel senso che si occupano di una sola malattia o di una materia specifica. Nel frattempo anche le Regioni e le ASL si davano nuovi obiettivi con la formulazione di Piani sanitari e target, passando ad una gestione sempre più di carattere aziendale e manageriale – che continua tuttora – e alla quale anche l’AVO ha dovuto adattarsi e ancora si adegua continuamente.

4) LA NUOVA ORGANIZZAZIONE (2002-2013)

Dopo circa un decennio di sperimentazioni varie, anche l’organizzazione interna dell’AVO ha subito un profondo adeguamento, per far fronte alle mutate condizioni, che avevano spostato il potere decisionale in ambito sanitario alla completa competenza delle Regioni. Ecco quindi il passaggio da “Delegato Regionale” – figura interna senza valenza giuridica – alla costituzione delle “AVO Regionali” in forma di associazione,  nei primi anni del 2000. Nel frattempo anche la Federavo adattava alla nuova organizzazione i propri comportamenti di guida e coordinamento con una notevole spinta di rinnovamento ( nuovi modelli comportamentali con le schede Federavo, implementazione della collana dei fascicoli per supportare la formazione, affinamento della regolamentazione con le Aziende sanitarie, maggior coinvolgimento delle AVO tramite le strutture regionali, incremento delle iniziative rivolte all’esterno – tipo Giornata Nazionale – e all’interno con le Conferenze dei Presidenti, Convegni nazionali ecc.). In definitiva, in questo decennio, si è cercato di attivare almeno tre dimensioni, distinguibili in teoria, ma, nella realtà operativa, spesso sovrapponibili e precisamente:

  1. La dimensione pratica, nell’analisi e gestione delle complessità che man mano si venivano a presentare e l’elaborazione delle soluzioni più consone al momento storico corrispondente;
  2. La dimensione politica, nella gestione delle scelte e delle priorità d’intervento in funzione anche della crescita del numero delle AVO, delle variate condizioni, anche economiche, dei Centri Servizi, del contesto mutevole in cui ci troviamo ad operare (strutture, RSA, territorio ecc.);
  3. La dimensione culturale, per la valorizzazione della sussidiarietà in genere, delle identità locali e della crescita del capitale umano a tutti i livelli, anche con la difesa del ruolo della nostra organizzazione e allo sviluppo di comunità.

5) L’ERA NUOVA DELL’AVO (2014-……….)

Lo scenario socio economico e politico attuale, così pesantemente segnato dalle modificazioni istituzionali e normative – stratificatesi negli ultimi anni – e marcatamente condizionato negativamente da una situazione di crisi, che ha pesantemente colpito anche la Sanità pubblica e privata, senza contare la progressiva e massiccia riduzione dei fondi destinati alle politiche sociali (vedi non autosufficienza, malattie psichiche e senili, handicap in genere ecc.) ci impone di riconsiderare il nostro ruolo in una prospettiva di programmazione a medio termine. All’uopo si è già proceduto a dotarci di un nuovo Statuto più attento al territorio, al rafforzamento delle funzioni delle AVO Regionali, senza dimenticare che il nostro patrimonio è rappresentato dalla moltitudine di persone che ogni giorno, col loro servizio capillare, sono presenti praticamente in ogni angolo della nostra Penisola.

6) SITUAZIONE ATTUALE (AL 2018/2019)

L’ERA NUOVA che continua a svilupparsi e a consolidarsi – vedi nuovo logo, mutamenti vari nelle strutture, rafforzamento immagine ecc – si è trovata ad affrontare un passaggio normativo che viene ad impattare pesantemente su tutto il mondo del volontariato: il superamento della L. 266/91 e la nuova riforma del Terzo Settore. Senza scendere nei particolari in quanto, allo stato dell’arte, la nuova legge è tuttora in itinere perchè sono ancora in fase di approntamento alcuni decreti attuativi, linee comportamentali, nuovo registro unico ecc. da quel che si è potuto constatare finora, il volontariato – specialmente a causa della mancanza di una forza unitaria di rappresentanza e di potere economico se raffrontato alle altre componenti – rischia di uscirne umiliato, nonostante i presupposti enunciati così solennemente nella legge stessa.  Va inoltre considerata l’evoluzione del sistema sanitario nazionale che per i piani di rientro, le risorse mal spese e forse insufficienti per dotarsi degli ultimi costosi sistemi tecnologici più innovativi e delle ultime terapie costosissime, sempre più comprime i servizi spesso negando i diritti delle persone, specialmente quelli che comporterebbero più esborsi (tipo le categorie del punto 5); contenendo i tempi di ricovero e cura; riducendo i posti letto e le assunzioni d quanti lasciano il servizio, limitando gli accessi in RSA,  gli assegni di cura domiciliari, con conseguente aumento dei tempi di attesa e, addirittura, in certe Regioni, cercando di spostare certi soggetti dalla sanità pubblica – dove i servizi sarebbero garantiti – ai presidi socio-sanitari dove i diritti sono vincolati alle risorse disponibili. Quindi per il volontariato ci vuole molta flessibilità, rapidità nel cambiare mentalità, grande spirito di adattamento, preveggenza su cosa sta per cambiare per precorrere i tempi, ecc. Tutte cose che sono essenziali per poter adempiere ad un buon servizio, ma difficili da realizzare perché il cervello umano (è stato accertato scientificamente) ha una forza d’inerzia che ci spinge a rimanere nella situazione in cui ci troviamo, non solo al momento, ma in senso più ampio anche nei cambiamenti che la vita ci prospetta. Inoltre, poi, ci sono le incrostazioni personali di ciascuno di noi tipo – per citarne solo alcuni –“ho sempre fatto cosi”; “io so già tutto non …”; “cosa sono tutte queste novità”….

Pertanto, il compito che ci attende per poter corrispondere alle sfide proposte dai vertiginosi cambiamenti che la società ci impone è soprattutto un cambio radicale da realizzare su noi stessi: più umiltà, maggior spirito di appartenenza; sforzarci nonostante tutto ad essere più malleabili ed adattabili. Specialmente più adattabili perché, citando C. Darwin, “non sopravvive il più forte, ma il più adattabile”.

Mi sono permesso questa descrizione, estremamente sintetica e lacunosa, della mia esperienza, per rimarcare che la motivazione collettiva che ci ha animato tutti finora è la considerazione che quanto narrato resta, al di là del tempo, e lascia dunque una traccia e – auspichiamo – una speranza per chi verrà dopo. Sono altresì convinto che l’incertezza che permea i nostri confini non può divenire il limite che impedisce il pensiero e l’agire, ma piuttosto la leva per ripartire con più slancio. Tutto si gioca nel qui ed ora, poiché la costruzione del futuro è adesso e si tratta di scoprirne i segni, le tracce anche attraverso la lettura delle proprie esperienze, concedendoci spazi di riflessione e rielaborazione, rileggendo le azioni fin qui intraprese per maturare approfondimenti. In una parola, per dare un senso ed un significato al nostro agire con l’intento di essere sempre più efficaci nella mission che abbiamo spontaneamente intrapreso.

Giuseppe A. Manzone