L’angolo dell’Etica – Il dolore, un cammino nel profondo dell’anima (Padre Luigi)

Cosa vuol dire raccontare il Soffrire? E come si può raccontare il dolore?
Le parole diventano poche al pensiero di tutte le immagini che si rincorrono chiudendo gli occhi …e aspetto una risposta……Cos’è il dolore?
Kapuschinsk, uno scrittore polacco a proposito dell’africa diceva: “l’Africa è un continente troppo grande per poterlo descrivere. È un oceano, un pianeta a sé stante, un cosmo vasto e ricchissimo. A parte la sua dimensione geografica, l’Africa non esiste. È solo per semplificare che lo chiamiamo Africa”.
La risposta che cerchiamo è prima di tutto dentro di noi, un luogo (come l’africa) così meravigliosamente immenso dove poter ritrovare l’immensità dell’altro.
Riascoltare queste parole mi sembrano come d’aiuto: il dolore raccontato su un foglio o da qualsiasi altro luogo che non sia il letto su cui si è distesi mi appare come uno dei pochi luoghi su questa terra in cui l’uomo possa ritrovare sé stesso, riconoscersi e riscoprire la sua utilità nell’incontro con l’altro…perché solo soffrendo ci si incontra davvero.

…Eppure, a pensarci bene non servirebbe partire… siamo circondati da altre persone, basta affacciarsi dalla finestra, l’altro è anche qui.  E invece tutte le persone che ci circondano nella nostra quotidianità non riusciamo davvero ad incontrarle…Abbiamo bisogno del viaggio per ritrovare quella nudità necessaria per abbandonare il superfluo, per accorgerci che esiste l’altro, che ne abbiamo bisogno. Il viaggio diventa, come racconta Boudelaire, quel luogo che scopriamo di possedere dentro ognuno di noi, un luogo affascinante e irrazionale. Il dolore è il viaggio.
E‚ dunque il viaggio e il dolore che corrono in soccorso all’uomo occidentale, al contrario di quanto ci si può aspettare. Abbiamo nascosto a tutti i costi il dolore e la morte. Giochiamo a rendere gradevole qualcosa di cui non sappiamo nulla ma che ci spaventa terribilmente. Per continuare la metafora del viaggio mi viene in mente ciò che disse un missionario comboniano quando ci si appresta a partire: la valigia deve contenere meno cose possibili, meglio se è vuota.
La valigia, metaforica, deve essere dunque vuota di quelle immagini che abbiamo sul dolore e sul soffrire. Tutto quello che abbiamo già pensato dentro di noi è meglio lasciarlo a casa, altrimenti non ha senso partire se ciò che cerchiamo lo conosciamo già. Partiamo vuoti, vuoti anche di noi stessi, di ciò che di noi vogliamo cambiare perché il viaggio ci aiuterà a farlo.
Ed è così che vorrei partire per questo breve viaggio insieme con voi …verso il luogo straordinario del dolore dove ho conosciuto ed ho raccolto storie e notizie sui bisogni e i disagi di questo misterioso evento che nonostante irrompe con ferocia nella vita dell’uomo lo fa sopravvivere con grande dignità.
…Le immagini impresse nella mia memoria sono quelle di chi ha visto la vera grande miseria, l’atroce sofferenza di malattie e ferite che hanno prodotto tanti disagi, al punto che le domande non si contano più; ti martellano, ti chiedono una risposta…  Il luogo del dolore è una stanza buia che rimanda una sensazione di desolazione inconcepibile ma che bisogna raccontare al mondo, testimoniarla, gridarla… affinché l’uomo del nostro tempo possa rendersi conto che il profondo buio dell’anima è sempre pieno di Vita.
La vita senza il dolore ci appare come un’isola felice… accogliersi, sorridersi, gioire, sono le piccole luci che sembrano cantate per la dolcezza del suono…La morte non esiste, il dolore non ci appartiene. Sembra che l’uomo giochi a dimenticare la sua natura…
Ma ogni volta che accade un imprevisto, da una semplice malattia a qualcosa di più serio, restiamo ammutoliti…
Quando la morte irrompe improvvisa ci rendiamo conto come svegliandoci da un sonno di cosa ha valore e cosa non serve nel bagaglio della nostra vita. Mi vien in mente il nervosismo stupido di quando sono in fila al semaforo…o le discussioni in coda alla posta…e mi domando se ne vale davvero la pena prendersela tanto…a cosa serva tutta la nostra fretta…dove mai si debba andare sempre così di corsa…
Gli occhi perlati d’amore degli ammalti che mi hanno consegnato intimità e speranze sono le riposte più assordanti che mi tornano nella mente e nel cuore. Chiudo i miei occhi…ed È infinito il solo stare a vederli, l’emozione è unica!
Io che mi accosto all’altro per portare speranza, mi ritrovo a respirare con gli occhi dell’altro, ad amare con il cuore dell’ammalato, a non averne davvero abbastanza di riempirmi di lui…
Il viaggio piano piano prende forma…
Adesso è quella di una mano tesa di chi all’angolo della stanza cerca l’infinto che non ha più, adesso quella dei colori tenui di abiti che marchiano come i condannati a morte, adesso le sconfinate grandezze di corridoi segnati da lacrime e speranze, adesso ancora la guarigione di un malato che pensava di non farcela o di un bambino che ritrova la sua gioia…
Tante volte mi sono chiesto perché l’ospedale racchiude tanta forza?
Forse perché gli occhi di chi soffre cercano lo sguardo dell’Amore, il conforto che solo il dono riesce ad offrire. Solo in quell’incontro di umanità vera, senza aspettative o confini si è capaci di vivere d’amore…consapevoli che non basterà.
Alla fine di ogni giornata Mi sento svuotato…ma anche arricchito…mi sembra una contraddizione. Il luogo del dolore, sprigiona Amore…e senti che devi tornare, che devi continuare a lasciare un po’ di umanità tra queste mura che sembrano le sentinelle custodi della vera essenza dell’uomo…
Il giorno dopo torna a splendere il sole…metaforicamente poiché in una stanza di ospedale il sole è sempre coperto!
E le immagini continuano a scorrere dentro i miei occhi e come da dietro una telecamera che accompagna giorno per giorno le mie visite e registra ogni dettaglio… il mio cuore registra senza sosta mille e più emozioni…
Il segreto di questo camminare è in quei volti. La risposta alle mie domande è in tutti quegli occhi ebbri di infinito. E allora trovi la forza di avanzare. Nessuna certezza. Nessuna risposta. Solo la forza di un incontro che sazia il presente e ti scopre affamato di nuovi passi. Ecco la forza di questo viaggio. Ecco l’incanto del ritrovarsi di fronte all’altro e sapere di essere nel posto sognato.
E il viaggio continua…
non ci sono molti libri, e neppure indicazioni. Devi imparare a memoria la strada del cuore, devi sapere riconoscere i passi, devi ascoltare la musica che hai accanto… a volte li senti fino al centro del tuo cuore…ti arriva l’eco di queste emozioni e sai che hai appena iniziato il cammino.

Luigi Corciulo*

*Parroco, docente di pastorale Sanitaria, è stato otto anni cappellano ospedaliero. Con l’associazione Amici del Madagascar (fondata da lui e da un suo amico sacerdote) collabora per progetti Missionari da 22 anni.