A. Morlini: Motivazioni di una scelta e basi per un servizio fedele

Iniziamo la pubblicazione di tre interventi della dott.ssa Morlini, inviatici dall’AVO Regionale Emilia-Romagna e prodotti in occasione di Corsi di formazione dell’AVO Correggio, nella convinzione che possano offrire spunti di interesse e approfondimento per tutti i volontari e nella speranza che siano seguiti da altri testi, inviatici da AVO locali e regionali, frutto della loro esperienza e adatti alla condivisione.

AVO: MOTIVAZIONI DI UNA SCELTA E BASI PER UN SERVIZIO FEDELE

Interrogarsi, all’inizio di un cammino di formazione per volontari ospedalieri, sulle motivazioni che spingono ad intraprendere questo servizio non è un fatto secondario rispetto alla scelta stessa. Infatti il “perché” dell’azione incide, in questo caso, in modo rilevante sulla riuscita del nostro agire e una motivazione autentica, libera, gratuita è essenziale all’efficacia del volontariato. Intendendo donare agli altri non una prestazione pratica, ma un segno di amicizia e disponibilità umana, non possiamo limitarci all’esteriorità del gesto che, senza un’autentica motivazione, perderebbe il suo significato, perché non riesce a trasmettere quel calore umano di cui il malato ha bisogno.

Scegliere di inserire il volontariato nella propria esperienza di vita implica quindi l’esame delle proprie motivazioni. Si parla in genere di motivazioni proprie (desiderio di donarsi all’altro), improprie (il bisogno di essere utile ad altri) ed errate o false (il trovare la realizzazione in un nuovo ambiente superando altri eventuali fallimenti). Corretta motivazione non significa, tuttavia, perfezione. Se spesso, nella pratica, risulta piuttosto labile la fedeltà di chi è spinto da false motivazioni, è invece positiva anche la risposta di coloro che si avvicinano al malato per le motivazioni cosiddette improprie: l’aver compreso che la propria vita acquista un significato solo se impegnata per l’altro è già un passo fondamentale per la fedeltà nel servizio e per la coerenza nella vita, in quella irrinunciabile dimensione quotidiana del volontariato che è la prima base per un servizio efficace in corsia e significativo nel sociale.

Da questo punto di vista il volontariato diventa una “palestra di vita”, in cui maturare come persone prima ancora che come volontari. In una società come quella attuale, orientata all’efficienza e al profitto, la scelta del volontariato appare significativa e allo stesso tempo impegnativa per due ordini di motivazioni. Da un lato, chi sceglie di dedicare una parte del proprio tempo ad una iniziativa gratuita opera una scelta controcorrente e deve intimamente rinnovare con costanza la propria motivazione, perché l’ambiente esterno non lo spinge (anzi lo distoglie) ad un impegno che è anche fatica, sacrificio, donazione e , talvolta, rinuncia. D’altro canto, la scelta del volontariato, proprio perché è controcorrente, ci pone al centro dell’attenzione, non come singoli o per le nostre capacità, ma perché, con il nostro agire, attiriamo l’attenzione di molti verso realtà di sofferenza, di dolore e di emarginazione: il volontariato è quindi una grossa responsabilità, perché una nostra rinuncia immotivata porterebbe la società a riconfermare il proprio convincimento secondo il quale la gratuità non paga e la sofferenza non arricchisce.

Ecco perché la scelta del volontariato ospedaliero pone l’ammalato e i suoi problemi al centro dell’interesse della realtà sociale, riafferma il valore della vita, anche quando questa è anziana, malata, handicappata, e ispira scelte di corresponsabilità verso un ambiente come quello ospedaliero in cui si consumano, lontano dagli occhi dei più, situazioni dolorose e gravi solitudini.

Il volontario AVO che con queste motivazioni affronta il servizio in corsia sa che non andrà a cambiare qualcosa, ma semplicemente a condividere una parte del cammino di un fratello sofferente; sa che non andrà a criticare, ma a partecipare; sa che non andrà a portare un servizio pratico in concorrenza con quello del personale, ma che andrà a completare sul piano umano ciò che la struttura garantisce sul piano tecnico.

L’interpretazione stessa della sigla AVO ci permette di riassumere il significato di quanto finora espresso: l’essere insieme, l’accettazione reciproca dei diritti e dei doveri che limitano e sostengono la libertà individuale (Associazione), per un servizio gratuito, fedele e disinteressato non solo sul piano economico, ma anche morale (Volontari) e in una realtà di sofferenza e dolore emarginata dalle leggi del mondo (Ospedalieri) è segno, prima ancora che risposta ad un bisogno concreto.

La scelta dell’ospedale come luogo del volontariato nasce, tuttavia, dalla riflessione sui bisogni dell’ammalato che dal ricovero alla dimissione, attraverso l’ansia di esami e prognosi, di solitudini e di convivenze forzate, affronta situazioni umanamente difficili, che a volte la sola comprensione da parte di qualcuno può alleviare. Tutte le norme, le consuetudini e i comportamenti che caratterizzano lo stile del volontariato AVO trovano la loro motivazione in quanto sopra descritto e nella convinzione che il “come” facciamo le cose prevale, in una logica umana e non tecnica, sul “che cosa” facciamo.

Così la fedeltà al servizio (che é presenza puntuale e costante al proprio turno o attenzione nel richiedere una pronta sostituzione) altro non é che la volontà di non deludere il malato che mi aspetta e per il quale il mio “tradimento” suonerebbe come la triste conferma della propria inutilità e solitudine. Allo stesso modo la continuità e l’impegno comune dell’associazione ripropongono gli stessi aspetti davanti all’intera comunità sociale. Infine la discrezione, sulla quale si fondano parallelamente il significato umano e l’efficacia del nostro lavoro: essa è rispetto per l’altro, attenzione privilegiata alla persona, atteggiamento indispensabile per essere accolti dal malato con quella disponibilità che di solito si riserva all’amico che merita la nostra fiducia.

La memoria di ciascun volontario può senz’altro richiamare alla mente numerosi episodi della propria esperienza in cui la discrezione, non disgiunta dalla dolcezza, dalla creatività e dall’umiltà, ha costruito una relazione apparentemente impossibile, ma alla fine estremamente produttiva. E’ proprio la relazione, infatti, il centro del nostro impegno di servizio: una relazione che può infondere fiducia, essere occasione per uno sfogo, può rendere ad un anziano il rispetto, all’inabile la spinta affettiva verso una rinnovata autonomia… E’, infine, la qualità della relazione che afferma i valori positivi della condivisione, contrapposta alla comune indifferenza, all’individualismo, al tabù della sofferenza e dell’improduttività, che emargina l’uomo sofferente e materialmente improduttivo. E’ di questo tipo di approccio che il malato ha bisogno…

L’auspicio, quindi, per chi si avvia ad un’esperienza di volontariato cercando di discernere le basi per un servizio fedele, è quello di vivere frequentemente appaganti occasioni di scambio disinteressato. Sono un prezioso patrimonio per l’esperienza collettiva e la forza dell’esperienza individuale, ne sostengono nel tempo la fedeltà e “purificano” le motivazioni: ciascuno si arricchirà nel ricordo di un viso o di una mano tesa, che non saranno sempre gli stessi nel tempo, ma proprio per questo saranno segno di maggior gratuità e condivisione.

Antonella Morlini (1)
Relazione al corso di formazione di base AVO Correggio

(1) Antonella Morlini, consulente, formatrice, psicosociologa, da oltre vent’anni lavora con persone, gruppi, servizi e imprese per affrontare situazioni complesse riguardo all’organizzazione, alla produzione e alle strategie di mercato.
Ha collaborato con numerose AVO come formatrice, accompagnando i volontari alla riflessione sui temi della motivazione e del senso di appartenenza all’associazione.
Antonella è scomparsa lo scorso 19 Settembre 2016 ed oggi vogliamo ricordarla come una “esperta di umanità” per la vastità delle competenze, per il rigore scientifico ed etico, per la disponibilità all’incontro, alla relazione, al confronto, alla condivisione di idee, progetti, iniziative e per la squisita delicatezza. Straordinarie sono state la sua sensibilità e la disponibilità verso gli ultimi, i più fragili nel corpo o nella mente, gli impoveriti, i più esposti ai contraccolpi delle vicende traumatiche dell’esistenza. Al riguardo ha fatto veramente scuola, dando contributi significativi, spesso decisivi, a realtà come l’Hospice ed il Core di Reggio Emilia e tante altre, formando una generazione di operatori/operatrici nei diversi campi della fragilità umana e sociale.